venerdì 4 febbraio 2011

intervento del collega GIUSEPPE PINTO (ANDRIA)

Meravigliosa cosa l’Architettura, prodotto di popoli felici e fattore di felicità dei popoli. Le città felici hanno una Architettura” (le corbusier)

Cari colleghi,

debbo ammettere con sincerità che provo un certo senso di inadeguatezza nell’indirizzarvi questa lettera, ma l’ho scritta per liberarmene, e soprattutto, per una sentita voglia di raccontare.

Qualcuno ha affermato che la lettera è il luogo dei sentimenti, scritti in maniera elegante e con bella grafia, in questo caso però, si tratta di una breve riflessione sulla condizione professionale dell’Architetto in generale e dell’Architettura nella nostra provincia, che prende spunto dalla istituzione del nuovo Ordine Bat, e dunque, lontana da pretese disciplinari ed epistemologiche.

Mi chiamo Giuseppe Pinto, sono nato a Andria il 1951 ove risiedo e svolgo con un gruppo di lavoro l’attività di Architetto libero professionista.

Mantengo con la mia vita un approccio sperimentale, esploro campi diversi, profano le frontiere tra le discipline, prendo rischi e faccio errori. Tutto ciò mi fa essere istintivamente entusiasta e mi fa credere nel futuro.

“Il passato è un luogo sicuro, un rifugio, e tuttavia, il futuro è l’unico posto dove possiamo andare” (R. Piano).

Affrancato dagli impegni universitari ho inteso accettare, non senza esitazione, la proposta rivoltami da alcuni amici-colleghi di partecipare alla kermesse elettorale per l’elezione del costituendo Consiglio dell’Ordine degli Architetti BAT, convinto come sono, che il ruolo di un ordine professionale, è sì quello, di assolvere alle normali funzioni istituzionali, ma anche e soprattutto, di attivarsi per una concreta e fattiva aggregazione fra gli iscritti, preparandoli alle sfide del futuro. Un luogo aperto ad iniziative culturali volte al miglioramento della professione e della qualità sociale.

Un ordine professionale dunque, propositivo e attento ai cambiamenti, che indirizza con entusiasmo i giovani alla sperimentazione di nuovi percorsi e libera il pensiero creativo che compete alla nostra disciplina, per riconquistare il ruolo che spetta di diritto alla buona Architettura.

In questo tempo di grande innovazione e risistematizzazione del sapere critico e scientifico, vi è la necessità di esprimersi alle scale più diverse, di forzare il reale fino all’immaginario o credere all’immaginazione fino a costringerla a diventare realtà.

L’Architetto deve imporsi per il suo prestigio intellettuale, quale promotore di iniziative di qualità, riappropriarsi del ruolo di progettista della città; rilanciare l’Architettura e ciò che essa rappresenta avvalendosi del contributo disciplinare di altri saperi, riposizionando “sulla giusta bilancia” il profilo etico della professione: “Less aesthetics more ethics”.

Ho letto con attenzione quanto riportato nei blog dei nostri Giovani Architetti e debbo dire che ne condivido contenuti e strategie. Mi piace come affrontano le questioni, e dovrà essere compito dell’Ordine, raccogliere istanze e osservazioni in una riflessione disciplinare vasta e condivisa.

Una provincia giovane merita una opportunità e questa è l’opportunità che gli Architetti della provincia offrono al proprio territorio. Si può fare impresa anche con gli investimenti culturali; la buona Architettura soddisfa i cittadini e richiama l’attenzione.

A puro titolo di esempio: Indagando il recente desarrollo della città di Bilbao, capoluogo industriale basco, solo pochi anni fa semisconosciuto e in decadenza, ci si imbatte in una verità apparentemente banale ma estremamente efficace: dieci architetti, in dieci anni, hanno prodotto cento architetture di una qualità tale da cambiare radicalmente il volto della città, trasformandola in quella che oggi viene definita “città della cultura”, con milioni di visitatori e un indotto capace di riassorbire le migliaia di lavoratori in precedenza espulsi dal processo produttivo. Un polo di attrazione territoriale visitato per i suoi nuovi contenitori architettonici e l’eccellente qualità urbanistica.

Proviamo ad immaginare ora, di cosa sarebbero capaci 420 Architetti, fortemente motivati e determinati a cambiare le cose. E’ certamente un programma ambizioso, ma si può fare ed è il nostro ruolo che lo richiede.

L’utopia serve per dimostrare a noi stessi di conoscere l’ordine dei problemi, anche se poi potremo realizzare solo una parte di quanto andiamo sostenendo.

Può esserci di conforto l’affermazione di Robert Musil “Il senso della realtà esiste e nessuno può mettere in dubbio che la sua esistenza sia giustificata. Allora ci deve essere anche un senso della possibilità, che si potrebbe definire come la capacità di pensare tutto quello che potrebbe ugualmente essere e di non dare maggiore importanza a quello che è”.

La nostra disciplina non ha ancora utilizzato tutto il suo potenziale creativo, anzi, non l’ha utilizzato affatto ne è riprova la profonda desolazione ambientale che circonda le nostre periferie, che a discapito di tutti, costituisce un importante moltiplicatore di patologie sociali collegate a insufficienze quantitative e lacune di qualità.

Per resistere ai maggiori narcotici del nostro tempo, occorre una formazione polivalente, la pratica metodica del dubbio, capacità innovativa, informazione, fare sistema, promuovere la conoscenza ed il sapere, concorsi di idee, formazione in progress, dibattiti, convegni, viaggi di studio, corsi di approfondimento, innovazione tecnica e metodologica.

Questo fa di noi una classe dirigente che contribuisce allo sviluppo della società.

Non voglio trascurare un breve accenno rivolto a colleghi che esprimono resistenza verso questo tipo di innovazione (spero ne siano davvero pochi!). Il bravo Architetto che dispone di una buona clientela è senz’altro professionista capace e affermato ed ha il diritto-dovere di tutelare se stesso e la propria clientela. Può farlo meglio, offrendo il proprio importante contributo culturale alle nuove generazioni; dedicando una piccola parte del proprio tempo prezioso alla creazione di nuove opportunità per i giovani colleghi, che in tal modo, non solo non andranno ad intaccare la clientela del professionista ma, soprattutto, non saranno costretti ad una concorrenza spietata su prezzi e prestazioni per naturali condizioni di sopravvivenza.

E’ una strada saggia, buona e conveniente per tutti! Piuttosto che coltivare soltanto il nostro orticello, aumentiamo le opportunità di lavoro a beneficio degli Architetti e della collettività.

Non intendo farmi dedicare ulteriore tempo e non so dire se il racconto che ho sintetizzato ha sortito l’effetto di accendere in noi una vasta gamma di canali semantici, spero soltanto di non essere stato troppo noioso, perché lungo lo sono stato senz’altro, ma … non ho avuto sufficiente tempo per essere più breve.

Rammentando a me stesso e a noi tutti che: “I sogni la prendono male quando si accorgono di non essere sognati”, metto a disposizione la mia candidatura, in sintonia con tutti coloro che vorranno vivere questa esaltante avventura, auspicando che la tornata elettorale ci veda comunque partecipi e compatti nell’esprimere i nostri desiderata.

Giuseppe Pinto

1 commento:

  1. Ciò che si legge senza equivoci è il senso d'umanità che l'architettura distingue dal fabbricare, qualsiasi cosa.
    Da questo si deve ripartire per restituire la dignità secolare alla nostra professione.
    Da un verso siamo riformisti perché vogliamo un sistema ordinistico che sia in grado di dare della risposte ai problemi della professione ma da un altro siamo anche restauratori di quella dignità perduta nelle "faccende domestiche"
    Francesco Giordano

    RispondiElimina